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Il ventunesimo gatto!


Nonno Salvo
Della mia prima vita.
Ho avuto un’infanzia felice, nella casa dell’Ammiraglio. Avevo una mamma, due fratellini e una cuccia calda. Sono stato allattato al seno fino a due mesi di vita, poi per diverso tempo le pappe non mi sono mancate. Non se ne intendevano un gran che di alimenti industriali per gatti in quella famiglia, ma non mi hanno mai fatto mancare carne trita, pesciolini freschi e una ciotola di riso bollito. E nemmeno sapevano niente di vaccinazioni e sverminazioni, come poi ho dovuto apprendere sulla mia pelle.
L'Ammiraglio, abituato a comandare le.ciurme durante tutta la sua lunga vita trascorsa per mari, ora che si era ritirato ad Agropoli, sua cittadina natale, aveva scambiato per l’equipaggio di una nave anche la sua famiglia e la “servitù”, come la chiamava lui, e imponeva regole severe dentro casa come se stesse ancora in navigazione. Quindi levata all’alba, rigidi orari per i pasti, disciplina e soprattutto ordine, pulizia e ubbidienza. Per quanto mi concerne, avevo il divieto assoluto di entrare in “cabina”, sarebbe la camera da letto che spartiva con la moglie, di salire sui ripiani della “cambusa”e di sostare sul “ponte a babordo”, sarebbe il balcone affacciato sul mare. L’alta statura, la voce possente, i bianchi baffi spioventi, gli occhi di colore verdazzurro, che ti trafiggevano da sopra gli occhialini da lettura sempre calati sulla punta del naso, inaspettatamente non gli conferivano nell’insieme un’aria burbera, ma piuttosto ti davano l’idea di un personaggio da racconti d’avventura, appena un po’caricato.
La “servitù” si componeva di Elisa, la governante tuttofare che con gli anni a causa dei reumatismi e della stanchezza era diventata un po’meno tuttofare e in compenso era diventata un membro a tutti gli effetti della famiglia, per cui tre volte la settimana per qualche ora veniva affiancata da una collaboratrice domestica avventizia, e da Italo, un non meno tuttofare maggiordomo-giardiniere-autista che si prestava a tutte le bisogne di genere maschile della casa. Elisa si atteggiava severa in presenza dell’Ammiraglio, il gatto qui no, il gatto è antigienico, bisognerebbe lavargli le zampe, non deve saltare sui bracioli delle poltrone, e così via, Poi però appena l’Ammiraglio si ritirava per il riposino pomeridiano mi passava sottobanco fettine di prosciutto e tocchetti di caciocavallo. Italo era un tipo curioso assai. Non so se era ingessato per professione, o se se con l’età era diventato una pantomima di se stesso. Fatto sta che pure con me recitava la parte del perfetto maggiordomo. Mi stendeva la scodella del cibo con mano guantata e mi chiamava Signorino gatto, figuratevi, Il Signorino gatto ha terminato di desinare? Posso rimuovere la ciotola? L’acqua fresca è di Suo gradimento? Cose così. Sono convinto che non mi prendeva per i fondelli. Certo, nella seconda vita avrei rimpianto pure questo.
La moglie dell’ammiraglio era una donnetta piccola piccola, con la faccia tutta grinza e gli occhi vivacissimi e i capelli grigi perennemente raccolti a crocchia. Siccome avevo divieto di entrare in cabina, non ho mai saputo se la notte li slegava o se erano ormai imbalsamati e andava e andava a dormire così. Aveva gli occhi acuti e penetranti, e infatti aveva due lauree, una in matematica e una in biologia, i diplomi stavano appesi incorniciati in legno dorato sulla parete dietro la consolle con le fotografie di famiglia. Correva voce che fosse stata fra le prime donne laureate in Italia, ma io dico che questa era una leggenda metropolitana, non credo che potesse essere così vecchia. Aveva modi molto gentili e ogni volta che mi incrociava mi dava una carezzina sulla testa. Nelle sere della prima estate della mia prima vita, le piaceva sedersi nella sua poltroncina vicino alla porta-finestra socchiusa del balcone e leggere ad alta voce. Sul tavolino accanto l’immancabile pacchetto di sigarette, un bicchierino di limoncello e una piccola pila di libri. Credo che la voce ce l’avesse rauca a causa di tutti e tre questi beni di conforto. Le letture non erano dedicate a nessuno in particolare, l’Ammiraglio andava e veniva dalla cambusa, dove impartiva ordini, a volte si sedeva qualche minuto sul divano di velluto rosso e si assopiva. A me invece piaceva acciambellarmi sul bordo del tappeto persiano. Ronfavo sommessamente e sembravo addormentato, ma in realtà ero assolutamente vigile e ascoltavo con attenzione quelle letture. A volte erano poesie, a volte pagine da un libro di scienze, a volte capitoli di romanzi. Non sempre ero in grado di distinguere un tipo di testo dall’altro, e non capivo bene il senso di tutte le parole, ma il loro suono mi cullava e mi faceva andare lontano con l’immaginazione. Credo la mia proprietà di linguaggio e la mia apertura mentale, alquanto insoliti per un animale della mia condizione, mi vengano da quelle sere. Più tardi, nella mia difficile seconda vita, sarei stato sbeffeggiato per il mio modo di parlare e soprattutto di vedere le cose, ma oggi sono contento di non aver dormito mentre nonna Gabriella leggeva.
Quando avevo circa due mesi, dovetti separarmi da mia famigliola felina. Eravamo troppi in casa, aveva decretato l’Ammiraglio, e così mia mamma, prima che potesse sfornare altri piccoli (la parola sterilizzazione l’avrei udita per la prima volta molto, molto tempo dopo dalle labbra di mamma Mary Rose) fu spedita in campagna da amici di famiglia, che avevano bisogno di un gatto per cacciare i topi, ma erano brave persone. Si ragionava così allora. I miei due fratellini, che erano uguali fra loro come due gocce d’acqua e molto più belli di me, col pelo tigrato in maniera uniforme, semilungo morbidissimo, li mandarono invece in città, in una casa, mi è sembrato di capire, dove c’erano due bimbi malati. Forse voleva essere il primordio di una pet therapy, come ho capito recentemente. Io rimasi nella casa dell’Ammiraglio forse perché ero il meno grazioso di tutti e quindi più difficile da dare in adozione o, forse voglio pensare, perché già da piccolo mi ero dato delle regole-base che poi sarebbero diventate i miei precetti di buona condotta per giovani gatti, e quindi non ero solito pisciare sui pregiati tappeti e questo giocava fortemente a mio favore. E restavo anche perché per i mesi estivi sarebbe venuta in villeggiatura la nipotina dell’Ammiraglio, così poteva giocare con me.
Fu doloroso separarmi dalla mia famiglia? In seguito me lo sono chiesto molte volte, ma non so darmi una risposta. Probabilmente a quell’epoca la mia formazione sentimentale non era ancora completa e quindi non avevo quell’affezione che caratterizza le relazioni fatte di scelte, di avventure condivise o di gratitudine, come avrei appreso più avanti nella vita. E d’altra parte essere stato allattato insieme ai miei fratellini da una mamma affettuosa e solerte, il calore della sua pancia, le sue leccatine mi hanno dato quella sicurezza che mi ha consentito di staccarmi ed andare in autonomia verso la vita adulta. Li ho visti andar via senza provare troppo dispiacere. Del resto io rimanevo in una casa accogliente, con persone gentili, e anche loro avevano un futuro assicurato.
L’esperienza con la nipotina fu devastante.
Era una ragazzina sui dieci-undici anni, bellina come una bambola di porcellana, con l’incarnato chiaro e le guanciotte rosee, gli occhi verde acqua e una lunga treccia dorata. All’apparenza tutta buone maniere, vezzi e moine, micino bello vieni qui, tesoruccio fatti accarezzare, ma quando non la vedeva nessuno si trasformava in un’aguzzina. Mi accarezzava furiosamente contropelo, mi tirava la coda, mi spuzzava acqua fredda in faccia, mi nascondeva la scodella del cibo, mi faceva fare salti altissimi per acchiappare un pezzetto di grasso di prosciutto e poi lo nascondeva. Insomma, torture così. Io non dicevo niente, perché non sono un delatore, ma ben presto ho imparato a schiacciarmi come una frittella e infilarmi sotto i mobili, da dove riuscivo solo nottetempo, quando tutti dormivano. Che cosa avesse in corpo quella ragazzina non l’ho mai saputo, però proprio nel corso di quella estate deve essere successo qualcosa di grave in quella famiglia, perché subito dopo il pranzo di ferragosto la madre, figlia dell’Ammiraglio, venne riprendersela e non la vidi mai più. Il padre non l’ho mai conosciuto.
E fu proprio dopo quell’episodio che nonna Gabriella iniziò ad intristire. Mangiava con poco appetito, accendeva una sigaretta con la precedente, sul tavolino accanto al bicchierino comparve anche una bottiglia di lemoncello e una scatola di pillole, la sua voce si fece ancora più rauca e a volte mentre leggeva si spezzava proprio. Mi capitava di sorprenderla in pieno pomeriggio nella cucina con le persiane chiuse che si asciugava gli occhi con i suoi fazzolettini col pizzo, Per discrezione in quei casi invertivo la marcia e mi ritiravo sullo zerbino all’ingresso.
Poi una sera di fine estate, con il vento che sibilava sul viale e sollevava le prime foglie cadute e faceva sventolare forte la tenda della portafinestra, mentre leggeva una poesia di un autore tedesco del secolo scorso, la voce le si spezzò del tutto e non riprese. Reclinò la testa da un lato e tutto cambiò.
(I primi versi di quella poesia ogni tanto mi riecheggiano nella testa come una musica malinconica. La poesia tutta intera l’ho sentita per la prima volta solo recentemente, nella mia terza vita, dalla Zia che mi ha adottato, che è un po’tedesca e a quanto pare ama quel poeta. E’ una poesia che parla della fine dell’estate, di frutti maturi, del vento e della solitudine. Strani giri che fa la vita.)
L'Ammiraglio la prese tanto male che sembrò non rendersi nemmeno conto. Gli erano venute meno le sole due cose che contavano nella sua vita. Quella piccola intelligente signora e qualcuno a cui comandare. Fu così che si rincoglionì molto rapidamente. Continuava a condurre apparentemente la vita di prima, ma viveva in un mondo parallelo, in cui poteva ancora parlare con la persona che non c’era più, e dava ordini a vuoto. Gabriella, devi far sbrinare il frigorifero, Gabriella hai preparato la lista della spesa per Italo, Gabriella dobbiamo far riverniciare le inferriate prima dell’inverno, Gabriella devi comprarti un vestito elegante per la cerimonia dei cadetti. Elisa fu sostituita da una badante a tempo pieno, Italo andò in pensione prematuramente, il vialetto di casa fu invaso dalle erbacce e io diventai quasi invisibile. Si limitavano a darmi da mangiare il necessario due volte al giorno. Mai più carezze, mai più prosciutto, mai più poesie.
Questo periodo così triste coincideva con la mia adolescenza. Gli ormoni a un certo momento hanno un’impennata, me lo aveva spiegato nonna Gabriella, e creano un gran tumulto nella testa e una gran voglia di esplorare il mondo e di mettersi alla prova correndo dei rischi. E così, poiché nessuno badava a tenere chiuso il portoncino in fondo alle scale e siccome non c’erano più regole precise per gli orari dei pasti, io comiciai ad approfittarne per sgattaiolare in strada. Mi facevo dei brevi giretti nei paraggi, annusavo l’aria alla confusa ricerca di feromoni, mi guardavo intorno per qualche incerta presenza femminile. Ogni tanto la badante mi richiamava a casa dal balcone, senza mai scendere in strada a cercarmi. Il più delle volte comunque rientravo spontaneamente, perché i morsi della fame avevano la meglio sugli vaghi ed esitanti appetiti sessuali. Il raggio delle mie escursioni si faceva però ogni giorno più ampio, i richiami della badante erano sempre più flebili e lontani e mi capitava sempre più spesso di saltare il pranzo. All’imbrunire però mi ritiravo sempre e una ciotola piena di cibo c’era.
Poi un giorno vidi lei.
Aveva un passo svelto e baldanzoso, sculettava senza apparire provocante.
Era rossa, snella. Aveva occhi di smeraldo e profumava di mare.
Fu la fine della mia prima vita e l’inizio di tutti i miei guai.


Herbsttag
{Rainer Maria Rilke}
Herr: es ist Zeit. Der Sommer war sehr groß.
Leg deinen Schatten auf die Sonnenuhren,
und auf den Fluren laß die Winde los.

Befiel den letzten Früchten voll zu sein;
gib ihnen noch zwei südlichere Tage,
dränge sie zur Vollendung hin und jage
die letzte Süße in den schweren Wein.

Wer jetzt kein Haus hat, baut sich keines mehr.
Wer jetzt allein ist, wird es lange bleiben,
wird wachen, lesen, lange Briefe schreiben
und wird in den Alleen hin und her
unruhig wandern, wenn die Blätter treiben.

Giorno D’Autunno
Signore: è tempo. Grande era l’arsura.
Deponi l’ombra sulle meridiane,
libera il vento sopra la pianura.

Fa’ che sia colmo ancora il frutto estremo;
concedi ancora un giorno di tepore,
che il frutto giunga a maturare, e spremi
nel grave vino l’ultimo sapore.

Chi non ha casa adesso, non l’avrà.
Chi è solo a lungo solo dovrà stare,
leggere nelle veglie, e lunghi fogli
scrivere, e incerto sulle vie tornare
dove nell’aria fluttuano le foglie.

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